E SE IL TUO IKIGAI TI FACESSE SENTIRE PIU' SOLO?
Tra le varie domande esistenziali più difficili penso che "cosa ti rende davvero felice?" occupi sicuramente le prime posizioni.
(Anche “cosa mi metto per uscire?” non scherza eh).
Non vale dire "essere ricchi", perché poi dovreste motivare cosa ci fareste con tutti quei soldi per essere poi davvero felici, e sicuramente rispondereste "viaggiare!"
Ed è proprio qui che vi volevo portare! 😈
L'evadere dalla propria routine non può essere una cosa che ci può rendere felici, perchè altrimenti significa che l'esistenza che stiamo conducendo ci piace solo 10 giorni all'anno circa.
Ovviamente, anche il mio mondo gira attorno al prossimo viaggio prenotato e soffro estremamente il rientro a casa, mi pare chiaro che la vita in vacanza vinca a mani basse contro la monotonia della vita di tutti i giorni.
(Spezzo una lancia a favore della vita quotidiana: fare la spesa è bellissimo).
Siamo comunque tutti d’accordo che dalla sedia dell'ufficio fai fatica a visitare posti nuovi e bere un mojito guardando il tramonto, MA il tuo lavoro ti permette di poterlo fare qualche giorno all'anno.
Tralasciando queste divagazioni puramente pratiche, è un tema che sto affrontando da un bel po' con la mia psicologa: perchè soffro così terribilmente la mia vita di tutti i giorni? Cosa posso fare per vivere la mia vita da adulta (sì esatto ne ho preso coscienza da relativamente poco, così giovane e così adulta? Ebbene si.) nel modo migliore?
Il primo punto che è venuto fuori dopo un po' di chiacchierate è sicuramente il seguente: fatico ad accettare che non tutti i giorni possono essere emozionanti, che ci sono cose che bisogna fare e che non tutti gli obiettivi possono essere relativi ad acquisti di case, macchine, cambi lavoro e viaggi (fogli di giornale e meno mi vorrai e più sarò con te - firmato la tua ansia)
Facile a scriversi ma non a farsi direi, ma ammetterlo è stato un bel punto di svolta.
Nota per chi legge: prometto che il titolo che ho dato a questo pezzo prima o poi avrà un senso e si collegherà ai miei soliti farfugliamenti. Potrebbe essere tra poche righe come tra mille pagine.
Ps. So che stai cantando Tiziano Ferro nella tua testa ora.
Quindi tutto stava (e sta) nel trovare cosa potesse smuovermi nella vita quotidiana, quei mini-obiettivi dei quali gioire, piccole variazioni alla routine (non troppe, sennò mi destabilizzo e facciamo altre 20 sedute per analizzare e risolvere il mio disequilibrio).
Partire dunque dalla domanda: cosa mi fa stare bene?
Ikigai è un termine che mi è venuto comodo per esprimere e sviluppare a grandi linee questo tema, in quanto propriamente significherebbe "ragione d'essere e di esistere", diciamo che le aspettative sono alte se vogliamo applicarlo alla vita di tutti i giorni.
Gai significa valore, mentre Iki significa vita, sembra un termine che porta con sé grandi responsabilità, e chi legge mi direbbe "ma chi sono io, Gandhi?". Beh, Gandhi intanto non era giapponese risponderei io, ma ad ogni modo nessuno sta chiedendo a nessuno di uscire a fermare le guerre, ma possiamo almeno risolvere le nostre guerre interiori senza crearne altre nel nostro piccolo, ad esempio.
Prendiamo questo concetto e adattiamolo alla vita di tutti i giorni, non servono imprese gloriose.
Qui immagino sorga spontanea un'altra domanda leggendo il titolo che ho scelto: come può farti sentire sola qualcosa che dovrebbe renderti felice?
Semplice: passando dall’essere una persona che faceva della vita “esterna” (quindi la socialità in genere) il suo centro, per evitare di passare troppo tempo con il proprio cervello, a essere una persona che per la maggior parte del tempo si dedica ad attività in solitaria.
Sicuramente il cambiamento non coinvolge solo me come individuo, ma anche il mondo di socialità che mi circonda.
Ps. Il mio gatto sembra approvare la mia scelta.
Spesso si dice: la solitudine è una droga.
Confermo e sottoscrivo.
Questo non significa schifare l’esterno, odiare i propri amici e decidere di passare la propria vita in una situazione di isolamento, ma bensì imparare a stare ANCHE con se stessi, per poi stare meglio anche con gli altri quando si decide di uscire.
Quindi, perché questa solitudine?
Perché il mio ikigai ho scoperto essere lo sport, la vita sana, l’alimentazione corretta e uno spirito sempre volto allo stare bene con se stessi. Diciamo che sull’ultimo punto ci sto ancora lavorando.
Tutte queste caratteristiche possono farti sentire un po’ solo e poco compreso perché ovviamente prevede uscire meno, bere meno, mangiare meglio, e spesso questi fattori cozzano con la vita sociale.
La vivo come una creazione di valore? Certo che si, sia per me che per gli altri, sia mai che uno possa essere un buon esempio per qualcun altro.
Ed è per questo che tempo fa mi sono posta questa domanda: e se avere scoperto il mio ikigai mi stesse in qualche modo cambiando rispetto alla persona che tutti conoscevano prima? Ed è qui che si è insinuata la mia paura dell’abbandono, la non accettazione da parte delle persone ed il timore di essere noiosa.
Ma si cambia un po’ per non morire, no?
I rami secchi vanno per forza in qualche modo eliminati per rafforzare l’albero che hai con tanta fatica e dedizione visto crescere e germogliare, permettendo ai fiori giusti di sbocciare.
Da buddista (prometto che ne parleremo) c’è un passaggio che mi è sempre piaciuto molto sui fiori: il principio del ciliegio, del susino, del pesco e del prugno selvatico.
In buona sostanza, poco importa quale fiore tu sia, il tempo di sbocciare è diverso per ognuno di essi, ciò che conta davvero è mantenere la propria unicità e caratteristiche, nessuno di questi fiori desidera essere l’altro.
Che concetto eh?
Quindi poco importa se temete di non essere accettati per ciò che siete: troverete chi lo farà.
Ma prima dovete trovare voi stessi.
Ps. No, Google Maps non sarà d’aiuto.
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